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Autore Topic: I freni delle automobili  (Letto 5652 volte)

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Offline davideC30

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I freni delle automobili
« il: 30 Agosto 2013, 09:54:15 am »
Sin dai primordi della ruota fermare qualcosa in movimento è stato più difficile che muoverlo. Ci si affidava alla forza di un animale per muoversi e alla sua forza per fermarsi. Poi il solito eroe ignoto ebbe un’intuizione, perché non provare a fermare in qualche modo la ruota con qualcosa? Nacque così il primo freno su una ruota sola , con un ceppo di legno che imperniato sul carro faceva forza sulla ruota e frenava ( si fa per dire ) il carro.

Il primo passo era stato fatto, forse nel tardo medioevo , ma ahimè rimase così per secoli fino all’avvento dell’automobile ed oltre. In effetti non si avevano idee chiare sul come frenare un mezzo in movimento, lo testimoniano i tanti tentativi e i tanti vicoli ciechi percorsi dalla ricerca .

Ancora verso gli inizi della prima guerra mondiale c’erano auto che superavano 70/80 chilometri ora e si affidavano, per fermarsi , ai freni a filo, tanto per intenderci quelli delle biciclette, che per di più agivano solo sui freni posteriori.

Adesso vi spiegate il perché di tanti incidenti all’alba dell’automobilismo.

Eppure nel 1901 la Maybach aveva usato un primordiale freno a tamburo, ma bisogna attendere il 1902 perché Louis Renault presenti il primo freno a tamburo così come noi lo conosciamo , anche se l’azionamento delle ganasce era meccanico.

Ne potete vedere un esemplare nella foto 1 sottostante.

foto 1


Il perno A veniva fatto ruotare da una leva esterna al tamburo, le ganasce B si aprivano e l’auto rallentava, rilasciando il freno la molla C aiutava le ganasce a ritornare al posto, semplice e discretamente efficace, ancora in uso su rimorchi agricoli.

Ai primordi dell’auto i freni erano pressappoco considerati inutili, infatti Ettore Bugatti a coloro che nutrivano legittime riserve sulla capacità di fermarsi delle sue automobili, rispondeva tranquillamente che i suoi “purosangue” erano costruiti per correre, e non certo per fermarsi. Questione di punti di vista !

I freni allora erano due e dietro, ma non sempre , qualcuno aveva un solo freno a nastro, un nastro di materiale adatto che serrava l’albero trasmissione, in pratica con che capacità frenante lo sapeva solo il costruttore.

Curiosamente fu brevettato prima il freno a disco. Infatti intorno al 1890 a Birmingham iniziarono i primi esperimenti e nel 1902 Frederick Lanchester chiese ed ottenne il brevetto del primo impianto di freno a disco della storia. Bisognerà attendere più di mezzo secolo per vederne il trionfo in una gara automobilistica.

Infatti nel 1953 la Jaguar vinse la 24 ore di Le Mans proprio grazie alla superiorità della frenata delle sue auto.

Grazie ai freni senza "fading", alla fine delle tre miglia e mezza del rettilineo Mulsanne, le C-type riuscivano a decelerare in completa sicurezza da velocità di circa 150 mph (240km/h); inoltre, quei freni avevano una maggiore durata rispetto a quelli di tutti gli altri concorrenti e il risultato fu un grande successo: le Jaguar si classificarono al primo, secondo e quarto posto.

Immaginate quali freni occorrevano verso gli anni ’80 quando su quel rettifilo si raggiungevano e superavano i 400 km/h!

Nelle autovetture abbiamo due sistemi di frenatura indipendenti, uno di stazionamento, con comando a mano ( o a piede se Mercedes, decisamente pericoloso perché impossibile da azionare dal passeggero in una situazione di emergenza con il pilota inerme), agente in genere sulle ruote posteriori, e l’altro di esercizio con comando a pedale, idraulico, ed agente sulle quattro ruote. Dei quattro dispositivi di attrito i due delle anteriori hanno il compito più gravoso.

Infatti durante la frenata si ha, per effetto dell’inerzia, un traferimento di parte del carico sulle ruote anteriori; a questo trasferimento corrisponde un aumento dell’aderenza delle ruote anteriori e una diminuizione delle posteriori ( la macchina si “alza” dietro). Poiché la frenata risulta alterata, un impianto razionale deve riservare ai freni anteriori la percentuale maggiore della capacità totale di frenata, non per niente la grande maggioranza delle auto ha freni a disco all’anteriore e tamburo al posteriore.

Freni a tamburo

Da sfatare immediatamente la favola che siano inferiori ai dischi, in realtà un freno a tamburo è più efficace di un freno a disco, per via della maggiore superficie di attrito.

Quello che lo rende inferiore è che non smaltisce altrettanto bene il calore generato dalla frenata.

I freni a tamburo sono di vari tipi, i più importanti sono quelli a ceppi fulcrati e quelli a ceppi flottanti.

Freno a ceppi fulcrati. E’ il tipo più vecchio ed è di costruzione semplice. Ha l’inconveniente di non poter garantire un ampio contatto fra suola ( la superficie che genera attrito, comunemente chiamata Ferodo, dal nome della ditta più conosciuta) e tamburo appunto a causa dell’ancoraggio del ceppo al fulcro. Ciò si traduce in una visibile irregolarità di logoramento delle suole. Eccone un esempio:

foto 2

1. Cilindretto freni azionato dall’olio idraulico

2/3. Ganasce

4. Senso di rotazione

5. Pistoncini di azionamento ganasce

L’olio entrando nel cilindretto 1 provoca l’apertura delle ganasce 2 è 3 che però essendo fulcrate sotto toccano parzialmente l’interno del tamburo e consumano irregolarmente la suola.

Freno a ceppi flottanti

Questo tipo di freno rappresenta un perfezionamento rispetto al ceppo fulcrato in virtù della maggiore libertà consentita alla suola.

Scompaiono i fulcri e tra le due parti inferiori delle ganasce compare un appoggio in lamiera che aumenta il loro grado di libertà. Libertà che permette di aumentare la superficie di contatto e rende il logoramento più regolare.

Altre differenze costruttive riguardano : 1) la posizione della suola rispetto al ceppo (ganascia), suola che non ricopre più tutto il ceppo; 2) Il dispositivo di dispersione del calore, che in genere consiste in una alettatura esterna del tamburo, e foratura del disco ruota, 3) dispositivo per la ripresa del gioco fra suola e tamburo dovuto al progressivo logoramento della suola.

Freni a disco

Come abbiamo visto nacquero prima dei freni a tamburo, però non trovarono applicazioni valide perché all’epoca i freni a tamburo erano sufficientemente evoluti ed in grado di soddisfare le esigenze del tempo. Il vero interesse iniziò a manifestarsi verso il 1935 nel settore carrelli d’aereo, dato che le velocità in gioco cominciavano a mettere fuori causa i tamburi.

Negli anni successivi l’uso di freni a disco in aeronautica si generalizzò, e passata la guerra i tempi e le prestazioni delle auto erano maturi per l’utilizzo automobilistico. Prima nelle competizioni e poi via via nelle auto di tutti i giorni.

Come è fatto un freno a disco:

semplice: un disco metallico a facce piane, solidale alla ruota,gira fra due uno o due pistoncini coassiali portati da una pinza fissata alla sospensione della vettura. I pistoncini recano sul lato affacciato verso la superficie del disco una guarnizione di materiale di attrito, mentre sull’altro lato sono sottoposti alla pressione idraulica generata dal dispositivo di comando (foto 3). La pressione di frenatura giungendo su entrambi i pistoncini genera una forza che serra il disco e la macchina frena. Una versione più economica è quella a pinza flottante, un solo pistoncino che spinge da una parte e per reazione tira a sé l’altra pastiglia dato che la pinza è libera (flottante), ma il risultato non cambia , il disco viene frenato. La superficie della pinza non è mai eccessiva e questo permette un raffreddamento eccellente, migliorato ancora di più nei dischi ventilati, in pratica due dischi uniti da una canalizzazione interna, e aperti sul bordo, che fa da aspiratore e raffredda ulteriormente il complesso disco+pastiglie+pinza.

Attualmente i materiali in uso per i dischi sono: ghisa per i normali usi automobilistici; acciaio per uso motociclistico dato che entra subito in temperatura, carbonio per auto da corsa, carboceramici che sono i migliori in assoluto e praticamente insensibili al fading, ma mostruosamente costosi, montati a richiesta su macchine tipo Porsche e Ferrari.



Offline davideC30

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Re:I freni delle automobili
« Risposta #1 il: 30 Agosto 2013, 10:03:48 am »
Il freno a disco è un dispositivo il cui scopo è rallentare o fermare la rotazione di una ruota e il mezzo a cui essa è vincolata. In altre parole la "pinza" del freno (rossa nella prima figura) è solidale al telaio (ossia in generale al veicolo) ed è la sede che ospita le "pastiglie" frenanti. Durante la frenata, un meccanismo preme le pastiglie contro il disco (solidale alla ruota) generando così una forza d'attrito direttamente proporzionale alla pressione. Di conseguenza la ruota riceve una coppia che contrasta la sua rotazione, cioè un'azione frenante.

Un freno a disco è costituito da un disco in ghisa o in acciaio solidale alla ruota il quale viene frenato tramite un sistema a pinza che spinge contro di esso una coppia di pastiglie composte da materiale d'attrito, che, premendo contro il disco contemporaneamente da entrambi i lati, ne causano il rallentamento assieme a quello della ruota. La pressione di spinta della pinza è generata grazie ad un dispositivo idraulico (come sulla maggior parte degli autoveicoli) o, talvolta, meccanico (per esempio le biciclette). I veicoli industriali (solitamente quelli di massa superiore a 6 tonnellate a pieno carico) hanno un dispositivo ad azionamento pneumatico Pirelli.


Storia
I primi esperimenti con freni a disco iniziarono in Inghilterra negli ultimi anni del XIX secolo; i primi freni a disco vennero brevettati da Frederick William Lanchester di Birmingham nel 1902. Passò un quarto di secolo prima che il sistema venisse adottato. In particolare, la prima vettura a montarlo in serie fu la Citroën DS, nel 1955.
Il primo freno a disco, quello che si è poi trasformato nel sistema attualmente in uso, apparve in Inghilterra a cavallo tra gli anni quaranta e gli anni cinquanta del secolo scorso. Offrivano una capacità frenante decisamente superiore ai fino ad allora utilizzati freni a tamburo, ma quello non era il solo vantaggio. Anche la resistenza alla "dissolvenza" o con il termine inglese "fade" o "fading" (cioè la caratteristica di mantenere immutata o quasi la forza frenante dopo azionamenti ripetuti, limitando il surriscaldamento dei componenti) e la notevole efficacia frenante anche da bagnati (utile per la sicurezza su strada in caso di maltempo ed indispensabile per l'uso in fuoristrada) erano dei "plus" non indifferenti. La semplicità meccanica del sistema a disco, il minor numero di componenti utilizzato e la facilità di riparazione costituivano altri ulteriori ed innegabili vantaggi.
Come spesso avviene il primo impulso alla diffusione dei freni a disco venne dalle competizioni automobilistiche, dove le qualità sopra menzionate costituivano un grande vantaggio competitivo.
Le primissime implementazioni di questo sistema frenante prevedevano un solo disco montato vicino al differenziale, solo successivamente vennero montati all'interno delle ruote. La ragione del disco unico montato in posizione centrale scaturiva dal presupposto di avere minori masse non sospese, concentrazione della massa vicino al baricentro e minor riscaldamento degli pneumatici, fattore di vitale importanza per le Formula 1 di quel periodo.
I freni a disco sono oggi diventati indispensabili sulle autovetture di serie, anche se alcune auto (specie quelle più piccole e leggere) montano tuttora, sulle ruote posteriori, dei freni a tamburo per ragioni di costo, di semplicità di implementazione del freno di stazionamento (il cosiddetto "freno a mano"). Essendo la forza frenante delle auto concentrata in larghissima parte sulle ruote anteriori questa soluzione può comunque essere considerata un ragionevole compromesso.
Discorso differente per le motociclette sulle quali fino agli anni settanta del XX secolo spopolavano enormi tamburi a più ganasce. L'unica ad anticipare i tempi fu l'italiana Innocenti con lo scooter Lambretta che, grazie alla Campagnolo, nel 1962 produsse in serie il primo scooter al mondo con freno a disco anteriore (modello tv 175 e tv 200). La notizia fece il giro del mondo, persino in Francia le riviste specializzate elogiavano questa grande innovazione che assegnava all'Innocenti un primato mondiale, un primato che purtroppo venne dimenticato nei decenni.
L'avvento del disco freno che viene ricordato va a merito del grande produttore italiano Brembo che ha imposto i suoi prodotti nelle corse prima e sulla strada poi. Il disco per uso motociclistico nasce pieno e, ad eccezione di alcuni prototipi apparsi nelle competizioni superbike negli anni novanta, non è mai stato conveniente o davvero vincente la soluzione autoventilante. Prototipi autoventilanti ottenuti per microfusione a cera persa di speciali acciai sono rimasti un bellissimo esercizio di tecnologia non supportati da una reale efficacia tecnico/economica. A fine anni novanta e negli anni a venire si sono imposti sempre più prodotti dal profilo innovativo detto "a margherita" o "wave". Si sono distinti in questo produttori italiani dediti principalmente alla vendita after-market. Questa attività è promotrice di un ritorno alle piste frenanti piene o comunque con pochi intagli. Questo per incontrare il massimo feeling di guida ed una grande modularità di frenata senza per questo rinunciarne alla potenza. Un concetto quasi sparito, quello appunto della modularità, a causa dell'abuso di foratura sulle piste frenanti e all'impiego da parte di molti produttori di acciai inossidabili molto belli a vedersi ma non sempre all'altezza quanto a durata e prestazioni.

Comando e azionamento dei freni
http://it.wikipedia.org/wiki/Freno#Comando_e_azionamento_dei_freni

Disco
http://it.wikipedia.org/wiki/Disco_freno

Pinza freno
http://it.wikipedia.org/wiki/Pinza_freno

Pastiglie o Pattini freno
http://it.wikipedia.org/wiki/Pastiglie_freno

Pompa freno (solo per sistemi idraulici)
http://it.wikipedia.org/wiki/Pompa_freno

Serbatoio liquido freno (solo per sistemi idraulici)
http://it.wikipedia.org/wiki/Serbatoio_liquido_freno

Accorgimenti
L'impianto frenante a disco può avere come accorgimenti:
Inboard disc sistema usato su veicoli a due ruote, dove il disco freni è integrato nella ruota e rimane centrale al disco, costituendone la parte centrale dello stesso.
Multidisco utilizzo di più sistemi a disco sulla stessa ruota, come spesso accade per le motociclette di cilindrata maggiore, dove si hanno due dischi e pinze anteriori.

Calcolo del momento frenante
Se si considera la forza Q normale alla pinza, che spinge la pastiglia contro la superficie del disco in fase di frenatura, e riferendosi ad una superficie di disco infinitesima, di apertura \ d \alpha  e dimensione radiale \ d r , si ha che:
\Q = \int_0^\alpha \ \int_{\ R_1}^{\ R_2} rp d \alpha d r
essendo  rd\alpha dr  la superficie infinitesima normalmente alla quale agisce il carico, che in termini finiti ha intensità \Q   e \ p   la pressione applicata durante la frenatura
e ancora:
\Q = \alpha \int_{\ R_1}^{\ R_2} pr \mathrm{d}r  = \alpha K \left (R_2 - R_1  \right )
(per la dimostrazione della costanza di \ pr , vedi dimostrazione).
Il momento frenante vale:
\ M_f  = \int_0^\alpha \int_{\ R_1}^{\ R_2}  frpr \, d \alpha \, dr
con  rd\alpha dr  la superficie su cui agisce la forza tangenziale infinitesima  f dQ   ed  f  il coefficiente di attrito.
Si ottiene quindi:
\ M_f  = \alpha f \int_{\ R_1}^{\ R_2} prr\, dr
Ma dal calcolo di \Q  si è visto che:
\ pr = K  = \frac{Q}{\alpha } \frac{1}{\left (R_2 - R_1  \right )}
Quindi si ha:
\ M_f = \alpha f   \frac{Q}{\alpha } \frac{1}{\left (R_2 - R_1  \right )} \frac{ R_2^2 - R_1^2  }{2}  = Q f \frac{ R_2 + R_1 }{2} 
Il momento frenante in un freno a disco dipende dal coefficiente d’attrito (aumenta con esso), dalla forza \Q  e dalle dimensioni  R_1 ,  R_2  ed è dato dalla risultante \Q  applicata al raggio medio dell’accoppiamento pastiglia-disco. Poiché il calcolo è stato effettuato su una faccia del disco, il momento frenante complessivo è \ 2 M_f .

Dimostrazione pr = cost
Applicando l’ipotesi di Reye sull’elementino infinitesimo di disco di apertura \ 2 \pi  e dimensione radiale \ d r  (corona circolare), caso più semplice, ma analogo di disco abrasivo che ruota su una superficie, si ha che:
il volume elementare di usura è pari a:
\ d V = 2 \pi r d r h
mentre, il lavoro infinitesimo d’attrito vale:
\ d L = 2 \pi r d r f p \theta r
Essendo
\ 2 \pi r d r  l’area dell’elementino, essendo  \pi \left (r + dr  \right )^2 - \pi r^2 = 2 \pi r d r  , (linearizzando trascurando l'infinitesimo di ordine superiore  \pi dr^2 )
\ \theta r  il percorso della forza elementare
\ 2 \pi r d r f p  la forza tangenziale infinitesima che compie il lavoro \ d L
Per l’ipotesi di Reye, vale che:
il volume che si usura negli elementi a contatto è proporzionale al lavoro speso per attrito nell’accoppiamento
Quindi si ha:
\ d L \propto \ d V
e, sostituendo le espressioni trovate di \ d L  e \ d V  :
\ h \propto \ p f \theta r
da cui segue:
\ p r = H \frac{h}{f \theta} = cost = K
essendo \ H  la costante di proporzionalità incognita, \ h  l’altezza di consumo, anch’essa incognita e \ \theta  l’angolo di rotazione che ha prodotto l’usura del materiale. La legge di variazione di \ p  in funzione di \ r  è allora un’iperbole equilatera nel piano \ p r .