Si potrebbe dire che la P1800 è stata la Volvo di serie più lontana dalle tradizioni della Casa svedese, legata a una filosofia e a prodotti improntati a valori ben lontani da quelli delle coupé di prestigio. Eppure, anche a Göteborg, per una volta nella storia, i progettisti si sono lasciati andare a un prodotto le cui caratteristiche emozionali erano sensibilmente preponderanti, rispetto ad altre esigenze.
Era la portabandiera del marchio. Prodotta a partire dal 1961 - dopo quattro anni di progettazione e sviluppo, la P1800 rimase a listino per dodici anni, e pur non avendo mai generato volumi di vendita all'altezza dei modelli più pratici (e gettonati) del Costruttore, fu in grado di entrare nell'immaginario collettivo come la granturismo che veniva dal Nord, e contribuì in misura importante alla fama internazionale della Volvo.
Ispirazione italiana per il design. Nata con il preciso scopo di attirare l'attenzione sul marchio, e per questo fortemente voluta dai concessionari, la P1800 assunse da subito il ruolo della portabandiera di Casa. Il merito fu anche dello stile forte ed elegante che scelse la dirigenza. La cui preferenza cadde su una proposta che aveva una forte impronta italiana.
Il giovane Petterson a scuola da Frua. Il design prescelto era frutto della matita di Pelle Petterson, figlio di Helmer, un consulente Volvo, e impegnato nel nostro Paese al fianco di Pietro Frua. All'epoca (era il 1957) Pelle, che poi si sarebbe dedicato con grande successo al boat design e alla motonautica agonistica, aveva 25 anni.
Una paternità "rubata". Ci vollero molti anni, però, prima che la paternità della P1800 gli venisse ufficialmente attribuita: la sua proposta di stile venne infatti sottoposta alla dirigenza Volvo in maniera un po' "garibaldina" da papà Helmer. Quando emerse la verità, l'allora presidente Engellau decise che il nome del giovane Petterson non sarebbe stato associato all'auto.
Le vetture di pre-serie. La coupé, con carrozzeria in acciaio, sfruttava numerose componenti della Volvo Amazon, cui univa la versione più sportiva - dotata di 100 CV - del motore B18. Prima della produzione in serie, la Frua ne allestì tre esemplari di pre-serie, che vennero utilizzati con diversi scopi. Costruite sulla base della Amazon tra il 1957 e il '58, le tre vetture si sono conservate intatte fino ai giorni nostri.
Le P1800 "inglesi". Quando arrivò il momento di mettere in produzione la P1800, la Volvo si trovava in una situazione di serie sottocapacità produttiva, e fu costretta a trovare dei partner che curassero la costruzione della coupé. Ancora una volta, fu Helmer Petterson a indirizzare la storia del modello, ottenendo due accordi in Gran Bretagna per la produzione dei lamierati e le operazioni di assemblaggio e verniciatura.
Un divorzio brusco. Quest'ultimo, in particolare, venne stipulato con la Jensen. L'avventura, però, durò poco: gli svedesi non erano soddisfatti di come andavano le operazioni, e appena fu possibile (nel 1963, dopo 6.000 esemplari "inglesi" costruiti) portarono la produzione a Lundby. Con l'occasione, l'auto venne ribattezzata: la P1800 S perse la lettera iniziale e diventò semplicemente "1800 S".
L'arrivo della ES. Rimasta pressoché intatta fino a fine carriera, la P1800 venne al contrario aggiornata sistematicamente nella tecnica, con gli interventi su motore, freni e alimentazione che rimasero i più rilevanti. Un momento molto importante nella carriera del modello arrivò nel 1971, quando venne presentata la variante di carrozzeria ES.
Il ritorno delle shooting-brake. La ES era una shooting-brake in piena regola, incrocio tra una coupé a tre porte e una station wagon. Anche a lei e alle sue inconfondibili caratteristiche estetiche si rifanno alcune recentissime eredi, che di quelle vetture un po' pratiche e un po' snob stanno riprendono l'originalissima vocazione negli ultimi anni.
Fabio Sciarra
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